Beato
te che sei un linguista – mi dice Lara accendendosi una sigaretta. Siamo in un
tavolo all’aperto, lei ha finito la sua Coca Cola ma io sono ancora a metà
della mia birra rossa. Le rispondo che no, non sono un linguista; intanto
perché se mai sarei un dialettologo, e poi perché non ho un ruolo
all’università e inoltre non so l’inglese abbastanza per leggere testi che mi
mettano in grado di padroneggiare un metodo scientifico aggiornato…
Ma
Lara sbadiglia, scuote la testa in segno di disapprovazione e tira una lunga
boccata di fumo. C’è qualcosa di molto sensuale in questo aspirare la
sigaretta. Così sorrido e sto zitto. Ci vediamo una volta ogni…boh? due anni
forse, ma so che quando fa così deve raccontarmi qualcosa. Bevo una sorsata di
birra e mi metto in ascolto.
Lara
ha un papà molto ma molto vecchio, che vive in un paese delle valli. Lei abita qua
in pianura, deve stare dietro ai figli adolescenti, ha il suo lavoro. Non può
guardare papà. E poi, se anche potesse farlo, sarebbe troppo stancante. Non parla
quasi più, il vecchio valligiano. Assente, lo sguardo perso nel vuoto, e
nemmeno un sorriso. Guarda attonito un mondo che vede solo lui, e che non lo
diverte.
Cambia
badante abbastanza spesso. Si stancano del posto più che del vecchio. Non tutte
resistono, lassù. Gli occhi del vecchio poi sono gelidi e azzurri, il paesaggio
esterno è gelido e pietroso, ben presto bianco per la troppa neve. Nella
frazione del vecchio non c’è nemmeno un negozio. Solo una chiesa, perlopiù
chiusa.
Le
badanti ucraine hanno gettato la spugna per prime. Irina si chiamava l’ultima.
Dopo di lei nessuna ucraina ha più voluto provare a vivere con il padre di Lara. Dicevano - addirittura - che la casa era stregata.
Balle, ovviamente. Ma un giorno in cucina c’era un topo morto. Un’altra volta
si sentiva bussare alla porta esterna e poi alla fine non c’era nessuno. Una
volta si è sparso il sale. Un’altra volta si è rotto uno specchio. E così anche
Irina se n’è andata, dopo che già se n’erano scappate via Olga, Svetlana e
Paraskivi.
Sapessi
che stress – mi dice Lara. Io ancora non ho capito cosa c’entri la linguistica
in tutto questo, ma intanto ho finito la birra e Lara mi chiede se ne voglio
ancora una. Dire di no sarebbe come confessare che non mi interessa il suo
racconto. Quindi faccio cenno di sì con la testa e intanto le scrocco anche una
sigaretta. Soddisfatta, Lara ordina due birre e ricomincia a raccontare.
Dopo
le ucraine sono arrivate le romene. Anche la mia «badante giusta», di cui ho
così scoperto la nazionalità. Sorrido a Lara. Che non ricambia. Bevo la birra,
fumo e sto zitto, con un’espressione neutra. Tre romene, mi dice Lara, si sono
succedute a guardare suo papà. Tutte se ne sono andate perché dicevano che
nella casa del vecchio c’erano le voci dei morti. L’ultima, che si chiamava
Sofia, prima di andarsene aveva riempito la casa di crocifissi, icone russe e
rosari greci. Tutto si era rivelato inutile.
«Celai
mortii che vorbescono» aveva esclamato posando le sue magre valigie
sull’ultimo gradino della scala in pietra che conduce dalla casa verso la
strada. Poi aveva ripreso le valigie e si era incamminata verso il capoluogo
comunale. Tre chilometri fra i rupi e boschi. Lara si era rifiutata di
accompagnarla.
Due
giorni dopo - riprende Lara – è arrivata
una filippina appena trasferitasi in Italia. E qui Lara mi guarda e mi dice: hai presente, no? Faccio cenno
di sì con la testa. Mia mamma ha avuto diverse ottime badanti filippine e…
«Beato
te che sei un professore di lingue». Ecco, vorrei ribattere che no, io non sono
un professore di lingue ma sto zitto, bevo la birra e chiedo un’altra
sigaretta. Lara sorride. E racconta.
Racconta
che la signora filippina si chiama Consuelo. Bene, bel nome annuisco io. E che
deve venire da una zona delle Filippine dove non pronunciano le parole come da
noi. Lo sapevo, io, questo? E beh sì, le dico – ma non capisco che cosa vuol
dire, mica i filippini parlano italiano, è ovvio che non pronuncino… Ma niente,
devo tacere. Lara si sta già annoiando delle mie domande e vuole raccontare
lei.
Consuelo
– racconta – non ha detto niente di streghe, vampiri, morti viventi e
stregonerie varie. Si è subito ambientata a casa del vecchio, sorridendo. Ogni
giorno Lara andava a vedere com’era la storia. Ogni giorno la trovava in casa,
intenta a pulire per terra, stendere i panni, stirare, fare l’orto, tagliuzzare
verdura per la minestra serale. E sorridere. Ma il vecchio no, non sembrava
trovarci nulla da ridere in questa presenza asiatica.
«Non
capisco proprio cosa rida a fare quella cretina cinese» era stato l’unico
commento che Lara era riuscita a strappargli.
Finché
un giorno Lara è arrivata lassù nel tardo pomeriggio e ha trovato suo padre
seduto su una sedia davanti a casa. Ammirava il panorama della valle, le
montagne alte con la punta ricoperta di neve. Forse seguiva il volo delle poiane. Ma soprattutto – e Lara
non credeva ai suoi occhi – il vecchio sorrideva.
Lara
lo ha salutato. Lui ha smesso di sorridere. Non sia mai farsi vedere contento
da una figlia o da un figlio. Però si percepiva che era soddisfatto. Le ha
anche chiesto una sigaretta, che lei non gli ha dato ovviamente.
Così
è stata costretta ad entrare in casa per non sentire gli insulti. Appena
dentro, ha trovato Consuelo che sorrideva più del solito, anche lei. In mano
uno strofinaccio, la mano sullo sportello del forno. Sul tavolo della cucina
c’era un tablet aperto.
«Beh
– ha chiesto Mara – si può sapere cos’è
successo?».
Consuelo
si è stretta nelle spalle. «Oggi tutto porno».
Porno?
Gli occhi di Mara si sono subito diretti sul tablet. Un’innocua pagina di
Google. Ma chissà guardando la cronologia che cosa sarebbe emerso…
«Ma
come, porno? In che senso porno?».
Consuelo
ha squadernato un sorriso da pubblicità. «Oggi fatto porno in cucina con segnor
nonno. Segnor nonno lui contento».
Lara
è uscita dalla casa. Uscendo ha visto il padre che guardava la parte alta della
valle. Non si era accorto di lei quindi sorrideva. Sorrideva come sua figlia
non gli aveva visto fare da almeno dieci anni. Porno. Un porno con il nonno. Ci
voleva questo allora per farlo contento. Non una badante, ma una ba…
Poi
Lara ha volto lo sguardo sul davanzale esterno della finestra. C’era una teglia
enorme di pizza. Una torta di mele. Un pollo. E il vecchio forno Petronilla
messo a raffreddare sul tavolo di pietra ai lati del cortile.
Lara
è tornata dentro. Consuelo stava smanettando con il tablet. Lara si è accesa
una sigaretta. Ha aperto il frigo, per cercare qualcosa di fresco da bere.
Consuelo in quel momento ha alzato gli occhi dal tablet e sorridendo le ha detto:
«Segnora, mancano uovi in prigo per pritata. Segnor nonno piace pritata».
Hai
capito? Mi dice Lara, accendendosi un’altra sigaretta. Era tutta una roba di
effe. Il porno era un forno. «Beato te – ripete – che sei un linguista e
avresti capito subito».
Già,
annuisco. Beato me. Ma toglimi una curiosità: come mai il tuo vecchio era così
contento per quattro cibi cotti al forno?
E poi, scusa, se Consuelo era capace a dire “fatto” sarà stata capace anche a dire “forno”…
Lara
smette di bere la sua birra e mi guarda con un’intensità che non promette
niente di buono. Nelle pupille di Lara, un vecchio stravecchio beffardo
sorride.
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