domenica 17 settembre 2017

Fatto porno cucina

Beato te che sei un linguista – mi dice Lara accendendosi una sigaretta. Siamo in un tavolo all’aperto, lei ha finito la sua Coca Cola ma io sono ancora a metà della mia birra rossa. Le rispondo che no, non sono un linguista; intanto perché se mai sarei un dialettologo, e poi perché non ho un ruolo all’università e inoltre non so l’inglese abbastanza per leggere testi che mi mettano in grado di padroneggiare un metodo scientifico aggiornato…
Ma Lara sbadiglia, scuote la testa in segno di disapprovazione e tira una lunga boccata di fumo. C’è qualcosa di molto sensuale in questo aspirare la sigaretta. Così sorrido e sto zitto. Ci vediamo una volta ogni…boh? due anni forse, ma so che quando fa così deve raccontarmi qualcosa. Bevo una sorsata di birra e mi metto in ascolto.

Lara ha un papà molto ma molto vecchio, che vive in un paese delle valli. Lei abita qua in pianura, deve stare dietro ai figli adolescenti, ha il suo lavoro. Non può guardare papà. E poi, se anche potesse farlo, sarebbe troppo stancante. Non parla quasi più, il vecchio valligiano. Assente, lo sguardo perso nel vuoto, e nemmeno un sorriso. Guarda attonito un mondo che vede solo lui, e che non lo diverte.
Cambia badante abbastanza spesso. Si stancano del posto più che del vecchio. Non tutte resistono, lassù. Gli occhi del vecchio poi sono gelidi e azzurri, il paesaggio esterno è gelido e pietroso, ben presto bianco per la troppa neve. Nella frazione del vecchio non c’è nemmeno un negozio. Solo una chiesa, perlopiù chiusa.

Le badanti ucraine hanno gettato la spugna per prime. Irina si chiamava l’ultima. Dopo di lei nessuna ucraina ha più voluto provare a vivere  con il padre di Lara. Dicevano  - addirittura - che la casa era stregata. Balle, ovviamente. Ma un giorno in cucina c’era un topo morto. Un’altra volta si sentiva bussare alla porta esterna e poi alla fine non c’era nessuno. Una volta si è sparso il sale. Un’altra volta si è rotto uno specchio. E così anche Irina se n’è andata, dopo che già se n’erano scappate via Olga, Svetlana e Paraskivi.

Sapessi che stress – mi dice Lara. Io ancora non ho capito cosa c’entri la linguistica in tutto questo, ma intanto ho finito la birra e Lara mi chiede se ne voglio ancora una. Dire di no sarebbe come confessare che non mi interessa il suo racconto. Quindi faccio cenno di sì con la testa e intanto le scrocco anche una sigaretta. Soddisfatta, Lara ordina due birre e ricomincia a raccontare.

Dopo le ucraine sono arrivate le romene. Anche la mia «badante giusta», di cui ho così scoperto la nazionalità. Sorrido a Lara. Che non ricambia. Bevo la birra, fumo e sto zitto, con un’espressione neutra. Tre romene, mi dice Lara, si sono succedute a guardare suo papà. Tutte se ne sono andate perché dicevano che nella casa del vecchio c’erano le voci dei morti. L’ultima, che si chiamava Sofia, prima di andarsene aveva riempito la casa di crocifissi, icone russe e rosari greci. Tutto si era rivelato inutile.
«Celai mortii che vorbescono» aveva esclamato posando le sue magre valigie sull’ultimo gradino della scala in pietra che conduce dalla casa verso la strada. Poi aveva ripreso le valigie e si era incamminata verso il capoluogo comunale. Tre chilometri fra i rupi e boschi. Lara si era rifiutata di accompagnarla.

Due giorni dopo  - riprende Lara – è arrivata una filippina appena trasferitasi in Italia. E qui Lara mi guarda e mi dice: hai presente, no? Faccio cenno di sì con la testa. Mia mamma ha avuto diverse ottime badanti filippine e…
«Beato te che sei un professore di lingue». Ecco, vorrei ribattere che no, io non sono un professore di lingue ma sto zitto, bevo la birra e chiedo un’altra sigaretta. Lara sorride. E racconta.

Racconta che la signora filippina si chiama Consuelo. Bene, bel nome annuisco io. E che deve venire da una zona delle Filippine dove non pronunciano le parole come da noi. Lo sapevo, io, questo? E beh sì, le dico – ma non capisco che cosa vuol dire, mica i filippini parlano italiano, è ovvio che non pronuncino… Ma niente, devo tacere. Lara si sta già annoiando delle mie domande e vuole raccontare lei.

Consuelo – racconta – non ha detto niente di streghe, vampiri, morti viventi e stregonerie varie. Si è subito ambientata a casa del vecchio, sorridendo. Ogni giorno Lara andava a vedere com’era la storia. Ogni giorno la trovava in casa, intenta a pulire per terra, stendere i panni, stirare, fare l’orto, tagliuzzare verdura per la minestra serale. E sorridere. Ma il vecchio no, non sembrava trovarci nulla da ridere in questa presenza asiatica.
«Non capisco proprio cosa rida a fare quella cretina cinese» era stato l’unico commento che Lara era riuscita a strappargli.

Finché un giorno Lara è arrivata lassù nel tardo pomeriggio e ha trovato suo padre seduto su una sedia davanti a casa. Ammirava il panorama della valle, le montagne alte con la punta ricoperta di neve. Forse seguiva il  volo delle poiane. Ma soprattutto – e Lara non credeva ai suoi occhi – il vecchio sorrideva.
Lara lo ha salutato. Lui ha smesso di sorridere. Non sia mai farsi vedere contento da una figlia o da un figlio. Però si percepiva che era soddisfatto. Le ha anche chiesto una sigaretta, che lei non gli ha dato ovviamente.
Così è stata costretta ad entrare in casa per non sentire gli insulti. Appena dentro, ha trovato Consuelo che sorrideva più del solito, anche lei. In mano uno strofinaccio, la mano sullo sportello del forno. Sul tavolo della cucina c’era un tablet aperto.

«Beh – ha  chiesto Mara – si può sapere cos’è successo?».
Consuelo si è stretta nelle spalle. «Oggi tutto porno».
Porno? Gli occhi di Mara si sono subito diretti sul tablet. Un’innocua pagina di Google. Ma chissà guardando la cronologia che cosa sarebbe emerso…
«Ma come, porno? In che senso porno?».
Consuelo ha squadernato un sorriso da pubblicità. «Oggi fatto porno in cucina con segnor nonno. Segnor nonno lui contento».
Lara è uscita dalla casa. Uscendo ha visto il padre che guardava la parte alta della valle. Non si era accorto di lei quindi sorrideva. Sorrideva come sua figlia non gli aveva visto fare da almeno dieci anni. Porno. Un porno con il nonno. Ci voleva questo allora per farlo contento. Non una badante, ma una ba…

Poi Lara ha volto lo sguardo sul davanzale esterno della finestra. C’era una teglia enorme di pizza. Una torta di mele. Un pollo. E il vecchio forno Petronilla messo a raffreddare sul tavolo di pietra ai lati del cortile.
Lara è tornata dentro. Consuelo stava smanettando con il tablet. Lara si è accesa una sigaretta. Ha aperto il frigo, per cercare qualcosa di fresco da bere. Consuelo in quel momento ha alzato gli occhi dal tablet e sorridendo le ha detto: «Segnora, mancano uovi in prigo per pritata. Segnor nonno piace pritata».

Hai capito? Mi dice Lara, accendendosi un’altra sigaretta. Era tutta una roba di effe. Il porno era un forno. «Beato te – ripete – che sei un linguista e avresti capito subito».
Già, annuisco. Beato me. Ma toglimi una curiosità: come mai il tuo vecchio era così contento per quattro cibi cotti al forno? E poi, scusa, se Consuelo era capace a dire “fatto” sarà stata capace anche a dire “forno”…

Lara smette di bere la sua birra e mi guarda con un’intensità che non promette niente di buono. Nelle pupille di Lara, un vecchio stravecchio beffardo sorride. 

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